Quando tempo fa ho cominciato a stare davvero male, mi sono chiesta come mai ero arrivata a quel punto, come era potuto accadere! Il lavoro non era un granché, ok, ma come avevo fatto a ridurmi in quello stato, dove tutto poteva essere potenzialmente perfetto e invece io lo vedevo e lo vivevo come un disastro totale? Me lo stavo chiedendo, ad un certo punto… ogni giorno, perché mi sembrava incredibile che fosse successo, se io ripensavo alla me stessa di qualche anno prima… prima che cominciassi il mio ex lavoro, la situazione che stavo vivendo mi sembrava inconcepibile, irreale.

Fino apochi anni prima ero piena di voglia di fare, piena di aspettative meravigliose per la mia vita, per il mio futuro… e invece, adesso mi trovavo ogni mattina lì seduta sul bordo del letto, a cercare la forza per cominciare una nuova giornata, senza riuscire a trovarla, con la netta sensazione che piuttosto che andare al lavoro, per me sarebbe stato meglio continuare a dormire, magari per sempre. Ero arrivata a fare questo pensiero ogni mattina e ogni giorno mi saliva la nausea; una nausea strana, pervasiva, che mi prendeva anche il cervello. L’idea di indossare quei vestiti e di entrare di nuovo in quel ruolo, mi piegava in due dal dolore; un dolore interno che piano piano divenne fisico. Ma come ero arrivata a quel punto?! Cercavo di capire.

Nei momenti in cui uscivo dopo il lavoro e stavo per qualche ora da sola nei boschi, la pace dell’ambiente ritornava a farmi pensare in modo più lucido, così presi a fare sport; correvo ogni giorno nei boschi. Esagerando, perché anche quello ero uno sfogo squilibrato, fino a rasentare l’assurdo. Però, di contro mi aiutò moltissimo a scaricare le tensioni. Ma non bastava. Poi un giorno capii; ero seduta su un grande masso squadrato in mezzo ad un pascolo dopo un lunga corsa serale. Allora non avevo ancora un cane; oggi non mi muovo più senza la mia fedelissima cagnolona. Se avessi avuto lei, allora, forse mi sarei risparmiata un mucchio di sofferenze; sicuramente. Gli animali sono i nostri angeli terreni, in tal senso. Mi consolavo con gli animali selvatici che avvistavo ogni tanto. Stava facendo buio ed ero a un’ ora di cammino dalla macchina, ma non mi importava; rimandavo sempre fino all’estremo l’ora del rientro a casa. I boschi stavano già cominciando a salvarmi l’esistenza.

Ci andavo spesso in quel posto, a pensare, a tentare di meditare. Realizzai d’un tratto che quelle che mi stavano fottendo la vita erano le mie abitudini!! Fu una folgorazione improvvisa, chiara, netta. Era esattamente così! Mi ero fatta travolgere da una serie di meccanismi mentali, per lo più frutto dell’indottrinamento professionale, che sfociavano in altrettante azioni ripetute, reiterate, giorno dopo giorno, ora dopo ora. Sempre le stesse, sempre eseguite nello stesso modo.
Capii che questo implicava la creazione di pensieri ricorrenti, di stati d’animo ricorrenti, di modi di fare sempre uguali e sempre praticati con lo stesso metodo, spesso anche alla stessa ora. In quella mattina di maggio di oramai tanti anni fa, mentre ero seduta su quella roccia, capii che ero diventata un’ automa in nome di un lavoro che mi rendeva spenta e triste e che col tempo, pur di resistere, avevo soffocato quell’altra me stessa, quella che amava la i Viaggi, Vita, lo Studio, l’Arte, la Bellezza, la Natura. Ad un certo punto, avevo accettato il fatto di non essere una persona libera. E questo mi rendeva come morta. Uno zombie in divisa, come tanti.

Anni prima io ero quella che trovava sempre un ottimo motivo per sorridere e altrettanti ottimi motivi per ridere. Ero quella che trovava le soluzioni ai problemi più assurdi, anche per gli altri. L’idealista che sapeva di voler cambiare in meglio il mondo e che cercava i modi per poterlo fare. Mi interessavo di tutto, facevo teatro, dipingevo, viaggiavo molto. Avevo lasciato tutto. Mi prese il panico… perché nel momento in cui avevo capito che per riprendermi quella me stessa che avevo dimenticato, dovevo cambiare tutto quanto della mia vita attuale, sentivo anche, e sapevo bene, che non avevo molto tempo. Il cambiamento era urgente e avevo aspettato anche troppo; dovevo agire in fretta, perché il pericolo di non aver più voglia di uscire da quel letto ogni mattina, era reale, concreto. La cosa mi spaventava. Stavo cominciando ad ammalarmi fisicamente e seriamente; fingevo di non vedere, di non capire. Mi sentivo in gabbia.

Il problema di quando si prende coscienza che gli unici che possono fare la differenza nel modo in cui procede la nostra vita siamo noi, è che occorre prendersi anche tutto d’un tratto la responsabilità di noi stessi, delle nostre azioni, fino in fondo, senza alibi e senza incolpare nessuno.
Se io mi ero sottoposta per anni a una situazione dove il mobbing era diventata un’abitudine da sopportare, dove la svalutazione della mia persona era diventata la prassi, dove la demotivazione era nutrita con dovizia e metodo, giorno dopo giorno, beh… la responsabilità non era del contesto in cui vivevo, lavoravo e arrancavo da anni, ma solo mia.
Ero io che non trovavo il coraggio di andarmene, di cambiare, di liberarmi. La responsabilità di ciò che ogni giorno ci accade, è sempre personale; è così per tutti e quando si capisce questo, si smette anche di essere vittime. Si smette di vestire il ruolo di chi è costretto a subire, di chi è costretto a stare al gioco e ci si può finalmente liberare.

Per questo io dico sempre che la lamentela è la peggiore delle abitudini che si possa avere!! Nella lamentela ci si deresponsabilizza in continuazione, si scarica tutto sull’esterno e si evita di guardare a noi stessi, di prenderci la responsabilità della nostra vita; questo diventa devastante, a lungo andare, perchè i problemi si amplificano, nutriti dalla forza che gli diamo lamentandoci in continuazione e nel contempo, non si riescono a vedere soluzioni. Questo vale per tutte le condizioni e per tutte le situazioni in cui ci troviamo, anche le più ostiche e disperate.
Quando quel giorno scesi da quella roccia, ho fatto una promessa a me stessa: mai più nella vita mi sarei lamentata di qualche cosa. Capivo che quello era il primo passo da fare; e quando presi quella decisione, cominciai già a sentirmi meglio.

Ero però circondata da colleghi e da persone che, come me, usavano la lamentela come unico spunto di conversazione, quindi non fu per niente facile, all’inizio. Mi limitavo a stare zitta, a cercare di non partecipare, di non ascoltare… è stato davvero difficile, all’inizio. Diventai scontrosa e me lo fecero notare. Ma mi servì per capire che non ero nel contesto adatto, che non potevo continuare a stare fra quelle persone, perché l’ambiente era tossico ed estremamente dannoso per me.

Me ne resi conto quando osservandomi, mi accorsi che io stessa ero diventata tossica per gli altri, perché quando ci si lamenta, sia chiaro, si sputa veleno sul prossimo, senza rendersene conto, certo, ma il risultato è questo. Ed io ho agito per anni esattamente come loro, come tutti. Mi sentivo profondamente in colpa e questo non aiutava certo a migliorare la situazione. Avevo preso quell’abitudine, senza rendermene conto, seguendo la scia di chi mi stava attorno. Quando realizzai questo, la prima reazione fu quella di voler scappare.
Ovunque guardassi, mi ritrovavo fra persone che cominciavano la mattina presto a lamentarsi e non finivano fino a pomeriggio inoltrato; non me ne ero mai accorta prima. Non avevo mai realizzato, ma era così! In ufficio, in ascensore, al bar, a pranzo, a cena… ci si lamentava del tempo, del capo ufficio, del collega, del cibo, del governo, del partito, del caffè troppo dolce, o troppo amaro, degli autobus in ritardo, delle pratiche inevase, della burocrazia, delle scarpe troppo strette, del compagno, della compagna, dei figli e della palestra troppo cara… insomma, ogni conversazione era fondata sulla lamentela. Era un modo di essere, di stare al mondo. Un modo estremamente pericoloso.

Quando arrivavo a casa, ero sfinita, emotivamente, psicologicamente, fisicamente sfatta! UNa mattina, mentre andavo al lavoro, tamponai una macchina; era ferma in corsia di sorpasso, per un incidente. Non mi ero accorta di nulla; quando si è in quelle condizioni, la concentrazione va a farsi fottere, come tutto il resto. Capii che non potevo continuare così. O mi licenziavo, o trovavo un altro modo per andare via.
Poi, in poco tempo capii che la lamentela rende gli ambienti tossici e ti toglie tutte le energie, ma all’epoca ancora non lo sapevo. Comincia ad avere problemi seri; ogni tanto perdevo i sensi, come se volessi spegnere tutto. Mi diagnosticarono una sindrome di sincope da stress. Il mio stomaco non rispondeva più. I medici si limitavano a prescrivermi farmaci inutili che mi rifiutavo di prendere, perché mi terrorizzava l’idea di dover dipendere dalla chimica. Io sapevo perfettamente qual’ era il problema e quando azzardavo a spiegarlo al mio medico, lui si limitava a dirmi che forse avevo bisogno di un neurologo… di altri farmaci, insomma. Fanculo, pensai! Da quel fronte, non arrivò nessun aiuto concreto!
E per non pensare, quando tornavo a casa completamente sfatta, che facevo? Accendevo ovviamente la televisione, come fanno tutti. Dormivo malissimo, mi svegliavo di notte e il giorno dopo ricominciava la giostra infernale. Le pressioni sul lavoro facevano il resto.
La peggior cosa che potessi fare, ovviamente, era nutrirmi di porcheria mediatica davanti al televisore, ma all’epoca non mi rendevo conto e ci misi un po’ a capire! La televisione sputa veleno ad ogni secondo di programmazione; se si cercano spunti per i quali potersi lamentare ed avere il morale sotto le scarpe, in televisione si trovano sicuramente, basta vedersi un telegiornale o un talk show. Mi resi conto presto che, dopo il lavoro, quella era una delle maggiori fonti di disagio nella mia vita; me ne accorsi quando capii che molte lamentele al lavoro, le sentivo fare proprio per via delle cose che la gente aveva visto la sera prima in televisione. Me ne resi conto una settimana dopo che, scesa dalla mia roccia in mezzo ai boschi, decisi che non volevo più lamentarmi.

Il lavoro in quel momento mi serviva per vivere, perché mi permetteva di guadagnare, ma del televisore potevo farne decisamente a meno, pensai. E così, un sabato pomeriggio presi la tv, la caricai nel bagagliaio, mi diressi verso il primo Centro di Raccolta Rifiuti ancora aperto, e la lasciai lì. Non volevo venderla, anche se i soldi mi avrebbero fatto comodo, o regalarla, perché mi sembrava che avrei fatto del male a qualcuno, sbolognandola ad altri.
La guardai per un attimo prima di andarmene e le dissi urlando: “Vaffanculo strega malefica di merda!!” L’operaio del Centro Raccolta mi guardò un po’ spaventato, ma io gli sorrisi… però lui non rispose al sorriso; probabilmente apparivo allucinata, sboccata, maleducata… e forse in quel momento sembravo un po’ come il Joker quando entrò nello studio televisivo. Ricordo che in macchina mi ascoltai i Doors sulla via del ritorno e che cantai a squarciagola! Ero felice, perché quella era la prima abitudine, forse la peggiore, che avevo cominciato a cambiare.

Il mio processo di Rinascita aveva avuto inizio.
Per il lavoro dovetti aspettare un po’, ma cercai febbrilmente una soluzione e la trovai chiedendo il trasferimento. Non era scontato che lo ottenessi e non era scontato che mi avrebbero mandato dove avevo chiesto, per nulla. Ma andò bene. Lo ottenni, con qualche difficoltà e me ne andai nei boschi, in un posto che non piaceva a nessuno, dove non voleva andare nessuno, perché era fuori dal mondo. Le circostanze del caso vollero che si fosse liberato un posto proprio lì, dove il mobbing continuò, seppure con altri modi fantasiosi, ma a me non fregava niente; ero felice di aver lasciato la città e di essere entrata nei miei boschi.

L’Universo sa sempre e perfettamente di cosa abbiamo bisogno e non delude mai le nostre richieste, purché noi siamo abbastanza svegli da sapere cosa vogliamo e lo sappiamo chiedere. E mi salvai così. Cominciai a stare subito meglio; il corpo rispondeva alle cure naturali che stavo facendo. Fu allora che cominciai a studiare seriemente i primi libri sul funzionamento del cervello. Se dovevo guarire, dovevo anche capire come si faceva e che cosa dovevo fare o non fare, no? I medici che avevo consultato erano più ignoranti di me su quel fronte; questo lo avevo capito, quindi toccava arrangiarsi. Studiai le erbe, i loro principi attivi e il modo più sicuro e utile per usarle. Molte cose già le sapevo su questo fronte, perché le avevo imparate dalle donne mochene. Ma furono il Silenzio e la Solitudine a curarmi. Ero felicissima quando potevo stare per ore nei boschi da sola; una felicità che non so descrivere e che provo tutt’ora quando faccio i miei ritiri prolungati da qualche parte sulle montagne!

Ripassai e studiai la Storia dell’Arte e la Botanica; ero nel posto giusto. Studiai tutti i libri di neuro scienze che riuscii a trovare, i libri di psicologia, da Freud a Jung ai libri di Assagioli e Scaligero. Mi rilessi Dante e tutti i calssici russi che riuscii a trovare. Studiai Neville Goddard, tutti i libri di fiabe che riuscii a recuperare, e poi Castaneda, i Vangeli, il Corano, la Bhagavad gita, i classici sui miti latini e greci e tutto ciò che aveva sentore di Psicologia, Natura e Spiritualità e fu un periodo meraviglioso! I libri di ogni tipo, sostituirono la televisione. La pittura, il disegno e la musica sostituirono la lamentela; e fu così che, come per magia, la bella gente sostituì gli aguzzini e i lamentoni.
Arrivò anche Lilith, la mia ombra, il mio cane e anche un paio di gatti, di cui uno morì investito da un automobile. Si chiamava Attila; era uno splendido gatto, troppo bello e vivo per resistere in un paese trafficato. Avevo imparato a creare nuovi sentieri nel mio cervello e li avevo scelti io, questa volta. Sopportavo bene il lavoro, che era migliorato, visto che non davo soddisfazione in reazioni vittimistiche.
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Quindi cambiai casa, lavoro, abitudini e non fu facile. All’inizio subii una specie di crisi di astinenza, che durò qualche mese. Mi sembrava che lì tutto andasse a rilento, che dovessi essere io ad accelerarlo un po’… e invece ero io che avevo ancora addosso i ritmi cittadini, quelli frenetici e malsani. Mi abituai a rallentare. Ovviamente tutti criticarono le mie scelte e molti, compreso il mio compagno di allora, fecero di tutto per farmi desistere. Avevo un buon lavoro (che io odiavo), comodo (secondo lui), in città (che io odiavo) e stavo per laurearmi (non ho mai avuto intenzione di laurearmi; davo solo gli esami che mi piacevano, perchè erano un sano diversivo all’inferno che vivevo dentro, tutto qui). Insomma, per il resto del mondo, la mia era una decisione folle e da irresponsabile!! Ma loro non sapevano niente di me; io non ero una che condivideva molto, all’epoca. Caratterialmente estremamente introversa, da sempre, ho dovuto reimostare un po’ questo limite, chepersiste, ma con ladifferenza che ora so che ogni tanto lo devo regolare verso l’apertura. Un po’ allavolta ho imparato e in questo, i miei blog mi hanno aiutata moltissimo. Tutto l’ostruzionismo che ho subito in fase di cambiamento da parte di quel mondo che mi stava uccidendo, fu per me il segnale che stavo facendo la cosa giusta.

Cambiare abitudini è sempre un salto nel vuoto; ti destabilizza sempre e inevitabilmente, ma se sai che stai andando nella direzione giusta per te, e tieni duro, ne vale veramente la pena. In seguito, mi guardai bene dal ricaderci. Io la televisione la odio, proprio perché da quando me ne sono liberata, ho visto come è cambiata la mia vita in meglio, in termini di qualità dei miei pensieri, delle mie relazioni con il prossimo, della mia salute psico-fisica. Se non me ne fossi liberata, non mi sarei mai resa conto di quanto mi stava condizionando la vita in peggio!! E quando oggi vedo la gente che sta male e non capisce questa semplice verità , un po’ di sconforto mi prende, lo confesso. Ma ognuno, si sa, deve fare la sua strada per capire.
La mente è uno strumento potente, ma se la lasciamo in mano a chi sa come funziona e gliela lasciamo gestire in maniera del tutto inconsapevole, come accade quando ci mettiamo davanti a uno schermo, adesempio, beh, allora lasciamo anche che facciano quello che vogliono di noi stessi; se accade questo, la mente può diventare il nostro peggior nemico!
Se invece impariamo a costruire nella nostra mente, nel nostro cervello, dei percorsi di pensieri sani, puliti, favorevoli a noi stessi, alla nostra salute e alla nostra felicità, creiamo prosperità e pace interiore ed anche esteriore nella nostra vita e allora, la nostra mente ritorna ad essere ciò per la quale è stata concepita, ovvero lo strumento più potente che abbiamo e la nostra migliore alleata, per essere davvero felici. Ma dipende da noi, dalle nostre scelte.

Tutto sta nel cominciare a costruire sentieri diversi nella nostra mente, attraverso la creazione di nuovi pensieri che ci portano a delle abitudini potenzianti, utili e che miglioreranno inevitabilmente ogni aspetto della nostra vita. Ne guadagna la salute, la nostra stabilità emotiva, la nostra intelligenza e soprattutto le nostre relazioni.
Questa è la mia storia, il motivo che mi ha portata a fare quello che faccio ora, molto a grandi linee… pensavo di doverla raccontare, perché altrimenti non si capisce perché mi sono appassionata a queste materie, al perché continuo a parlare di Fiabe, di Bibbia e di Miti… beh, in questi testi io ho trovato le risposte sul funzionamento dell’Essere Umano e sul funzionamento di me stessa e non mi pare poca cosa.

Penso che il modo migliore per ringraziare l’Universo per avermi indicato le strade per salvarmi l’esistenza, sia di condividere quello che ho imparato; il servizio al prossimo ed il rendersi utile fa parte di questo nuov modo di essere ed è molto più piacevole che starmene lì a lamentarmi dalla mattina alla sera. Solo per chi vuole starmi a sentire, ovviamente. Perché tutti noi possiamo scegliere quali sentieri creare nella nostra mente, o se continuare a percorrere sempre gli stessi; possiamo scegliere se percorrere i sentieri che ci rendono vittime inconsapevoli, o quelli che ci rendono padroni della nostre vite. E saper scegliere per il meglio è un’ altra di quelle cose che si impara a fare, un po’ alla volta.
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