Andai nei boschi perché desideravo vivere con saggezza, per affrontare solo i fatti essenziali della vita, e per vedere se non fossi capace di imparare quanto essa aveva da insegnarmi, e per non scoprire, in punto di morte, che non ero vissuto. Non volevo vivere quella che non era una vita, a meno che non fosse assolutamente necessario. Volevo vivere profondamente, e succhiare tutto il midollo di essa, vivere da gagliardo spartano, tanto da distruggere tutto ciò che non fosse vita, falciare ampio e raso terra e mettere poi la vita in un angolo, ridotta ai suoi termini più semplici.
HENRY DAVID THOREAU, Walden. Vita nel bosco, 1854.
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LA POESIA SELVATICA DEL SABATO – H.D. THOREAU E HERMANN HESSE
Ok, questa era facile, perché veniva citata proprio nel film del quale ho già parlato qui; l’Attimo Fuggente. Lessi tutto di Thoreau e non sto qui a dirvi quanto lo amo e quanto mi abbia concretamente aiutato a sentirmi meno sola nelle mie “inclinazioni silvane”. Sono stata la classica adolescente “strana”, introversa e molto, molto diffidente nei confronti di tutto ciò che riguardava il mondo umano; compensavo però con uno slancio senza riserve per il mondo selvatico e per la Natura in generale. Anche per la Natura che non conoscevo, che viveva e prosperava lontano dalla mia esperienza diretta, in paesi esotici e stranieri. Mi interessava e mi interessa tutt’ora, tutto ciò che sento affine e che riguarda il mondo selvatico. Oggi me ne frego del giudizio; ho imparato nel tempo, ma non è sempre stato così.
Per una preadolescente qual’ ero, era forse strano, che gli interessi si focalizzassero esclusivamente su ciò che di sfera fisicamente umana non aveva nulla, visto che quella è l’età in cui si scopre l’altro, anche l’altro sesso. Io ero in perenne scoperta, è vero, ma ero ossessionata dalle piante e dai selvatici, più che dagli esseri umani. A discapito di quel che si potrebbe pensare, visti i pericoli reali che possono esserci in montagna, o nei boschi, quella dimensione, quegli ambienti mi hanno sempre fatta sentire perfettamente a mio agio e al sicuro.
Farfalla azzurra
Piccola, azzurra aleggia
una farfalla, il vento la agita,
un brivido di madreperla
scintilla, tremola, trapassa.
Così nello sfavillio d’un momento,
così nel fugace alitare,
vidi la felicità farmi un cenno
scintillare, tremolare, trapassare.Farfalla azzurra- Hermann Hesse
***

Mi ricordo che alla sera stentavo a rientrare a casa e aspettavo che tutti spegnessero prima le luci e andassero a dormire; me ne stavo fino all’ultimo all’aperto, a osservare il cielo, o a osservare faine, gufi, volpi e gatti mezzi selvatici. Forse questo era dovuto al fatto che io conoscevo meglio i boschi degli esseri umani, essendoci praticamente cresciuta in solitaria e con loro sapevo come dovevo comportarmi, mentre gli umani mi destabilizzavano emotivamente e in continuazione ed era una sensazione che non mi piace, (in questo per molti versi sono cresciuta poco) e non mi piaceva per niente. In Natura, era molto più semplice e diretta, la vita.
E leggendo Thoreau mi sentivo capita da un mio simile, per una volta; ho cominciato a pensare che forse anche fra gli esseri umani potevano esistere degli esponenti dei quali potersi fidare. Quantomeno si insinuò il dubbio. I romanzi che avevo letto fino a quel momento mi avevano dato conferma che l’animo umano presenta tantissime caratteristiche e sfaccettature molto complesse; tutta roba che io non potevo classificare, che non potevo mettere in ordine, quindi era difficile che in me si creasse la necessaria fiducia. Per di più, la vita reale, quella che si svolgeva al di fuori dalla sfera letteraria, non mi dava molte certezze; ma proprio per nulla. Quindi continuavo a rimanere in via prudenziale sulla difensiva; mi comportavo come fanno gli animali selvatici, perché quello era il miglior esempio di reale saggezza e stabilità che avessi mai avuto.

Ad un certo punto, quando dovetti lasciare le montagne per le scuole medie, mi accorsi che la gente mi guardava come se fossi effettivamente “quella strana”; ci volle lo specchio di un gruppo di persone più nutrito e che non mi conosceva, per rendermi conto. Quando presi coscienza, la reazione fu di immediata mimetizzazione, per evitare di assecondare questi dubbi e di rassicurare chi mi stava attorno, che si stavano sbagliando. Volevo evitare con tutte le mie forze di attirare l’attenzione su di me e sul mio Mondo!
Ovviamente tutto era finalizzato a preservare me stessa che, intuivo, effettivamente non facevo propriamente una vita interiore ordinaria, e lo capivo da quel confronto quotidiano e forzato e dal fatto che non mi interessava per nulla coltivare la relazione con gli altri (cosa che invece sembrava essere obbligatoria fra le persone “normali”), perché non avevo molto da condividere, mi sentivo perennemente a disagio; dai boschi avevo imparato che se tu non ti esponi, non rischi nulla, o rischi molto meno.
Così ho imparato a recitare e sono diventata molto brava. Era una strategia prudenziale, di sopravvivenza e chi ora la giudica, mi fa un baffo. Col senno di poi, capisco che non avevo scelta. Sapevo quanto il mondo può essere feroce nei confronti del diverso, perché sono cresciuta con un esempio di autismo grave in famiglia e non vi sto a dire quante volte ho pensato che l’ignoranza è il vero cancro della nostra specie. Ho semplicemente avuto l’intelligenza di risparmiarmi il peggio, visto che senza saperlo, forse già lo conoscevo.

Si chiama Amore ogni superiorità,
***
ogni capacità di comprensione,
ogni capacità di sorridere nel dolore.
Amore per noi stessi e per il nostro destino,
affettuosa adesione
a ciò che l’Imperscrutabile
vuole fare di noi
anche quando
non siamo ancora in grado di vederlo
e di comprenderlo.
Sull’ Amore – Hermann Hesse
Quindi cercai di comportarmi esattamente come la comunità umana si aspettava che io facessi; era una semplice tecnica di mimetizzazione. Lo fanno tutti gli animali che non hanno altri sistemi di difesa. Mi adeguai alle compagnie (piccole, di poche persone, perché faticavo molto a relazionarmi con grandi gruppi) che negli anni 80 erano il modo di aggregazione fra adolescenti.
Mi adeguai ai riti tradizionali di passaggio dalla pubertà all’età adulta tipici dei miei paesi, facendo esattamente tutto ciò che mi veniva richiesto; ho anche imparato a ballare (quasi) e ho avuto dei ragazzi, perché questo veniva richiesto per confermare una certa “normalità” in età giovanile, ma senza alcuna convinzione; penso che nessuno di loro si sia mai accorto che cosa leggessi, che musica mi piacesse e che cosa ci facevo tutte quelle ore nei boschi da sola (era il periodo di classificazione degli insetti).
E dalle mie parti queste cose vengono sentite molto, essendo la comunità molto legata alle tradizioni, in quanto minoranza etnica. Riuscii discretamente a confondermi, a fare la parte dell’adolescente ordinaria, un po’ trasgressiva, ma non troppo, che ogni tanto beveva un po’, ma mai troppo, recitando il necessario e sapendo che questa era la cosa più saggia da fare per confondermi nel gruppo. L’unica cosa che non riuscivo a fare era stare alle regole che mi tenevano ferma e imbrigliata, lontano da ciò che più amavo, ovvero i boschi. Questo mai… e mi creò non pochi problemi.

Fingevo di interessarmi della musica che piaceva a tutti e che io non capivo, e che oggi ho rimosso, dei telefilm e dei programmi che piacevano a tutti e che davano sulle televisioni private e dei giornalini come “Cioè”, delle acconciature con la permanente, mentre le mie passioni reali si muovevano fra i cartoni animati giapponesi, le illustrazioni naturalistiche e la musica jazz pop e classica (che mi incuriosivano molto e potevo sentire solo in biblioteca); per il resto era il periodo morboso di Tolstoj, Dostoevskij, Allende e García Márquez.
Ero attratta dai vecchi film del dopo guerra; tutto ciò che è bianco e nero mi attira ancora e dai film più recenti come il Corvo, Forrest Gump e Blade Runner che, come sempre e come certi libri, per me erano diventati delle vere e proprie ossessioni. Delle medie io mi ricordo la profonda, profondissima noia. Ma proprio profonda, profonda, profonda… l’ho già detto profonda noia? Può apparire snob, ma non mi interessa; era quella la mia fedele compagna di ogni giorno. Esattamente quella.

Ma avevo comunque il diario di Drive In tappezzato da adesivi di paninari e cantanti rock che nemmeno sapevo cosa cantavano, ma vedevo che li usavano i compagni e io facevo altrettanto; era parte della scenografia progettata per rendermi invisibile. Ero molto brava a recitare la parte. Molto. E’ molto difficile avere delle ossessioni e camuffarle, mimetizzarle, renderle neutre agli occhi della gente. Ma gli altri mi aiutavano molto; capivo che non sarei mai stata accettata se avessi detto la verità e soprattutto, mi sarei distinta dal gruppo; cosa assolutamente da evitare.
E’ stato molto, molto difficile; è un esercizio di autocontrollo e di osservazione su se stessi che a volte ti porta a trascendere la realtà; ogni passo falso ti espone a pericoli e sguardi perplessi e li devi necessariamente evitare, per mantenerti al sicuro. Io ho fatto questo per quasi tutta la mia infanzia, finché ad un certo punto ne ho avuto abbastanza!!
Io lupo della steppa trotto solo
***
solo, nel mondo ormai di neve bianco…
Dalla betulla scende un corvo stanco,
ma non vedo una lepre, un capriolo!
Oh come voglio bene ai caprioli!
Poterne trovar uno, oh bella cosa!
Vi affonderei la bocca mia bramosa:
non v’è nulla che tanto mi consoli.
E con amor e affezione sincera,
delle tenere carni farei strazio,
finché di sangue veramente sazio
a urlare andrei dentro la notte nera.
Anche una lepre basterebbe, via!
Dolce ha la carne pel mio gusto bruto…
Possibile che tutto abbia perduto
quel che abbelliva un dì la vita mia?
È grigio ormai della mia coda il pelo,
e già la vista mi s’annebbia e oscura,
sono anni che mia moglie è in sepoltura,
ed una lepre, un capriolo anelo.
Vado a caccia di lepri, trotto e sogno
all’invernale sibilo del vento,
e ingozzo neve, neve, finché ho spento
la mia sete, e do l’anima al demonio.
Il lupo della steppa – Hermann Hesse
L’unica che ebbe dei dubbi che ci fosse qualcosa di anomalo, fu la mia insegnante di lettere delle medie, probabilmente perché quando scrivevo, mi veniva molto più difficile fingere. Di lei avevo già parlato qui. Fu l’unica a capire cosa stava succedendo e le sarò eternamente grata, perché con me ha mantenuto il segreto; ebbe l’intelligenza di capire che in quel momento era meglio così. Provò a convincere i miei a farmi fare un Liceo Classico; loro si preoccuparono, non capivano e quando io li vidi agitarsi, gli dissi di stare tranquilli. Sapevo perfettamente che non c’era tempo, che bisognava lavorare, non c’erano risorse e non c’era modo di capire, quindi finii alla scuola professionale, come ho già raccontato. E va bene così: niente accade per caso e i miei hanno fatto anche troppo per me, vista la situazione non facile.
Non parlavo con nessuno delle mie passioni, delle mie inclinazioni, di quello che leggevo, di come pensavo, delle mie ossessioni per gli insetti, per le cortecce degli alberi e di altre cose che tutti avrebbero ritenuto strane, stranissime, perché capivo che sarebbe stato inutile e dannoso per la mia stabilità, per il mio Mondo e anche per il mondo della mia famiglia. Ero ancora troppo fragile per espormi.

Ci fu un momento, un po’ più tardi, in cui Hermann Hesse era diventato il mio punto di riferimento; mi ricordo che mi svegliavo e sorridevo, perché avevo Siddhartha a portata di mano e bastava questo per sentirmi rassicurata. Tutto il resto della vita, con le sue continue urla e orrendi rumori (ho una sensibilità uditiva particolare e i rumori forti mi creano nausea e vomito… cosa della quale nessuno si è mai accorto e questo è uno dei tanti motivi per i quali ho assoluto bisogno del silenzio dei boschi, o di scomodi tappi) le sofferenze, le brutture, le violenze e le immani fatiche e delusioni, potevano anche essere relegate in quel mondo fatto di concreta illusione, se qualcuno aveva scritto un libro simile.
Tutti i libri del mondo
non ti danno la felicità,
però in segreto
ti rinviano a te stesso.
Lì c’è tutto ciò di cui hai bisogno,
sole stelle luna.
Perché la luce che cercavi
vive dentro di te.
La saggezza che hai cercato
a lungo in biblioteca
ora brilla in ogni foglio,
perché adesso è tua.
I libri – Hermann Hesse

Ma i libri mi hanno fatto capire che c’erano anche altri mondi, più simili al mio e altre persone, forse, simili a me; e capire questo è stata la mia vera salvezza. Poi durante la scuola superiore, trovai le poesie di Hesse e il mio cuore di adolescente cominciò a sentire che la fiducia nel genere umano, forse poteva anche essere ben riposta. Altri come me, stavano forse vivendo le medesime esperienze e forse anche loro, trovavano tutto molto difficile e molto pericoloso. Potevo provare a cercarle e se anche non le trovavo nel mondo attorno a me, sapevo che le avrei trovate sempre nei libri.
Dopo le scuole medie, visto che dovevo affrontare una scuola che non rientrava nemmeno un po’ nei miei interessi, ho preso coraggio e ho smesso di fingere, perché capivo che non ne avrei più avuto l’energia; mi ero resa conto che era troppo stancante per me. E adottai la strategia opposta; divenni fin troppo esplicita e sincera; non aggressiva, solo mi resi conto che era magnifico e liberatorio dire esattamente quello che pensavo, con pacata educazione, anche nelle situazioni più imbarazzanti. Probabilmente usavo un linguaggio che poi ho imparato a ridimensionare, perché non veniva compreso molto. Farmi comprendere era necessario, purtroppo. Tuttavia il nuovo metodo richiedeva molta meno fatica e intimamente, mi divertiva moltissimo; è stato l’inizio della liberazione.
Psicanalizzavo, prima di agire. Con i più meritevoli rasentavo la cattiveria. Gli insegnanti mi temevano e non mi provocavano, perché dopo le prime volte, le mie risposte erano lapidarie, molto imbarazzanti, se entravano troppo nella sfera privata; alcuni di loro avevano questa malsana abitudine di mettere gli studenti pubblicamente a disagio. Li disprezzavo molto quando lo facevano ed ero diventata protettiva nei confronti di due miei compagni in particolare, perché insicuri e quindi sempre sotto il mirino dei soliti cretini. Le mi risposte si rivoltavano educatamente e inevitabilmente contro chi le poneva. Conoscevo i punti deboli; questa cosa poi l’ho coltivata, perché ho capito che era molto utile in una strategia di difesa. Nessuno mi ha mai dato fastidio; nessuno. Rispondevo serenamente e nei dettagli solo alle questioni strettamente legate alla scuola.

Ottenni l’ottimo effetto di allontanare e demotivare qualsiasi tipo di approccio, anche amichevole, senza saperlo, senza rendermene conto. Per me andava benissimo così, presa com’ero dalle mie passioni, dai miei pensieri, dai miei progetti impossibili. Qualcuno insisteva e allora lo facevo entrare ai margini del mio mondo; solo fino a lì, perché anche se fosse andato oltre, ero sicura che non ci avrebbe capito una mazza! E mi stava benissimo così.
Mi resi conto che essere profondamente sincera mi assomigliava moltissimo ed era molto più divertente che recitare una parte che detestavo; non implicava comunque di dovermi esporre più di tanto, perché dei miei interessi non fregava niente a nessuno, quindi avevo capito che il mio mondo era al sicuro. Per di più la sincerità e l’eccessiva franchezza sortivano l’effetto che cercavo, ovvero starmene per i fatti miei ad occuparmi di ciò che mi interessava e che di solito non interessava a nessun altro; avevo imparato a non fare caso al giudizio, mi ero rafforzata negli anni e potevo finalmente essere libera.
Non ho più abbandonato questo metodo e funziona tutt’ora benissimo anche come filtro umano. Solo chi è molto, ma davvero molto motivato, molto paziente e molto sincero oltrepassa il filtro. Ovviamente nessuno della mia famiglia lo oltrepassò mai. Gli arroganti che incontrai in seguito nella vita, li scartai allo stesso modo, come si fa con i fagioli guasti. E allora la vita migliorò; divenni più sicura ed equilibrata; sempre molto antipatica agli occhi del 90 % delle persone, ma allegramente me ne strafottevo e me ne strafotto, e non esito a tagliare corto quando le situazioni mi mettono a disagio.
E fu la potenza dei libri e della poesia a creare questa consapevolezza, perché è leggendo e vivendo che ho imparato! Forse si è messa di mezzo anche la potenza di una condizione che in seguito, molto, molto tardi mi diagnosticarono e che non potevo comunque cambiare.
Strano, vagare nella nebbia!
È solo ogni cespuglio ed ogni pietra,
né gli alberi si scorgono tra loro,
ognuno è solo.
Pieno di amici mi appariva il mondo
quando era la mia vita ancora chiara;
adesso che la nebbia cala
non ne vedo più alcuno.
Saggio non è nessuno
che non conosca il buio
che lieve ed implacabile
lo separa da tutti.
Strano, vagare nella nebbia!
Vivere è solitudine.
Nessun essere conosce l’altro
ognuno è solo.
Nella Nebbia – Hermann Hesse
A casa però, dove la sfera intima era più esposta, dovevo stare più attenta, pensai: non potevo essere tanto disinvolta e dovevo gestire la situazione con più cautela; mi ero costruita un codice di scrittura che mi permetteva di scrivere con la serenità data dal fatto che nessuno riuscisse a leggere. Era importante per me poter scrivere liberamente, perché era l’unico confronto che esercitavo con me stessa in modo totalmente libero.
Imparai a pensare, a chiarirmi le idee scrivendo. Cercavo le risposte nei libri della biblioteca della cittadina vicina, visto che nel mio paese, una biblioteca non c’era (e non c’è ancora), e in buona parte le trovai. Non c’erano autobus che mi riportavano al mio paese quando finivo scuola, quindi le ore che non passavo in giro nell’attesa delle sette di sera, le passavo a gironzolare per i boschi o in biblioteca se faceva molto freddo.
Trovai dei libri scritti in greco e in cirillico; quei caratteri li trovai estremamente affascinanti!! L’idea mi venne allora. Mi inventai dei caratteri, delle regole di scrittura per rendere il tutto più indecifrabile; fu un lavoro lungo, molto bello e molto appassionante. E furono i primi diari, doppi; criptati da una parte, ovvero quelli veri, e scritti con il codice convenzionale dall’altra, in un stampatello anonimo, perché avevo letto dei trattati di grafologia e sapevo che con quelli potevano capire chi ero. 😀 Io studiavo la gente con tuto quello che mi capitava a tiro; mi serviva per difendermi.
Ero incredibilmente e ossessivamente votata alla segretezza!! 😀 😀 😀 Non mi sfiorò mai l’idea che ci potesse essere qualche cosa di patologico, in questo. Mai! 😀 Per me era un gioco fantastico, tutto qui! I diari falsi scritti in stampatello li lasciavo in giro, per soddisfare eventuali curiosi. Le mie strategie di difesa si stavano affinando. 😀 😀 😀

Queste strategie per preservare intatta la purezza del mio mondo, per proteggerlo con delle barriere solide da tutto ciò che io vedevo e capivo che non mi apparteneva, mi resi conto solo in un secondo momento, quando oramai ero quasi adulta, che erano in realtà del tutto superflue; a dirla tutta, a nessuno importava delle mie elucubrazioni mentali, o delle mie ricerche entomologiche o botaniche di adolescente confusa, incerta e spaventata. Probabilmente se non avessi usato il mio codice di scrittura, quel che scrivevo se ne sarebbe rimasto altrettanto al sicuro, quanto e come se se avessi usato l’alfabeto convenzionale; col senno di poi mi resi conto che anche se avessero letto i miei diari, anche se li avessi scritti in modo convenzionale, non li avrebbe capiti nessuno. 🤣🤣🤣
Sono una stella del firmamento
che osserva il mondo, disprezza il mondo
e si consuma nella propria luce.
Sono il mare che di notte si infuria,
il mare che si lamenta, pesante di vittime
che ad antichi peccati, nuovi ne accumula.
Sono bandito dal vostro mondo
cresciuto nell’orgoglio e dall’orgoglio tradito,
sono il re senza terra.
Sono la passione muta
in casa senza camino, in guerra senza spada
e ammalato sono della propria forza.
Sono una stella – Hermann Hesse
Il codice era solo una rete di sicurezza che mi serviva per esprimermi con maggiore libertà nei miei voli sui trapezi fra un pensiero, un’ esperienza e l’altra. Ma ebbe comunque un risvolto positivo sul mio cervello, secondo me; io parlavo un dialetto tedesco, oltre all’italiano, leggevo i libri in lingua italiana e scrivevo con un codice che mi obbligava a tradurre tutto con dei caratteri e dei fonemi che nessuno usava. Mixavo il dialetto tedesco con la lingua italiana, quando usavo il codice, e quando lo leggevo a voce alta, il suono veniva comunque modificato dalle regole fonetiche e di scrittura. Avevo anche classificato insetti e piante con i nomi in latino e li avevo “battezzati” nella mia lingua segreta, creando una specie di “mondo parallelo”. Una vera ossessione. Nel tempo abbandonai, più perché costretta dalle circostanze, che per scelta, ma ogni tanto faccio delle prove e funziona ancora. Penso che tutto questo abbia contribuito a sviluppare una parte del mio cervello che oggi mi agevola moltissimo. Se avessi dei figli li inviterei a fare altrettanto.

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