IN queste terre moderne e contemporanee, per me desolate e cupe, fatte di terra spenta e buia, osservo in silenzio il via vai di anime imbronciate, serie, preoccupate che però si sforzano di sorridere; hanno avanbraccia adorne di pacchetti di carta traslucida e dorata, di sacchetti di plastica bianca dai quali spuntano zamponi di maiale e gambi di sedano. Mi ricordano i ciuchi caricati di legna di faggio da portare a valle; quelli che si usavano una volta. E sorrido, ma non perché li voglio canzonare, o giudicare, ma perché il ciuco è un bell’animale, secondo me. Tutto questo è reale, ma paradossalmente so che è un’illusione. Il ridicolo che passeggia baldanzoso sotto braccio con l’assurdo, riempie le sale del centro commerciale ed è una sfilata di frustrazioni e moti di anime smorzate dall’eccesso e disilluse da felicità false ed effimere, ma tutti ben vestiti e perfettamente truccati; spesso anche i maschi. E’ la moda, dicono, e per il politicamente corretto, il sesso, il genere non esiste più e tutto è lecito… quindi smetto di farci caso. Vedo delle facce provate; forse per via degli stomaci messi sotto sforzo, delle menti disinnescate e degli occhi sgranati a cercare l’ultima scarpa da 1200 € da comprare a rate. I gridolini che ricalcano gli atteggiamenti degli influencer su Tick Tock e gli “Adooorooo” urlati in corsivo davanti alle vetrine dalle ragazzotte con la pancia scoperta in pieno inverno; mi accarezzo la pancia e mi sento al sicuro, avvolta dalla mia morbida e calda canotta invernale, nascosta sotto il pesante maglione di lana che mi sono fatta a mano, e che poi ho foderato di raso per evitare che mi pizzichi la pelle. I gridolini e le urla dei bambini che si accalcano sulle macchinette da giostrai si mescolano alle luci al neon, ai profumi troppo forti. Mi tiro il berretto sulle orecchie. Una madre di mezza età truccata da adolescente, si ferma in cima alla scala mobile e si piega a pulire il naso dei suoi due pargoli che frignano; nel movimento un po’ concitato volto a tenere fermi i due nanetti, fa cadere il contenuto delle buste e una cascata di clementine si mette a rotolare lungo gli scalini della scala, mentre la gente sta salendo. Io rimango impietrita per qualche momento, mentre la strana valanga arancione mi viene incontro; osservo l’accalcarsi di gente davanti a me che anziché raccogliere la frutta, la scansa ridendo, mentre lei, la madre dei due nanetti, non sa più se inseguire le clementine o tenere ben saldi i due pargoli. Ed è il caos. Aiuto a raccogliere e accatasto le clementine in un angolo in cima alla scala; dei ragazzotti vestiti con larghe tute da ginnastica e con le scarpe colorate, cominciano a prenderne alcune a calci, prendendo in pieno una signora anziana che sta salendo. Loro ridono; lei rimane in silenzio e guarda per terra, umiliata. In attesa che la proprietaria delle sfere di frutta si decida e se le venga a prendere, osservo la stupidità umana; è da un po’ che non frequento i luoghi di accalcamento e comincio ad averne abbastanza. Non riesco a sentire la musica che forse è natalizia, perché è coperta dai rumori, dalle voci, dal ronzio dei ventilatori dell’impianto di riscaldamento, dal rumore delle ruote dei carrelli, dai passi della gente, dai piatti, dalle tazze e dai bicchieri che vengono toccati dalle stoviglie di un bar. La nausea comincia a salirmi, mi gira la testa. Finalmente la tipa arriva; non mi guarda, ma l’aiuto a mettere le sue clementine nella borsa di plastica. Lei non dice niente; nemmeno una parola… e se ne va, con i due ragazzini al seguito. E io da dietro la osservo… e mi vengono di nuovo in mente i muli da soma… seguiti da due asinelli. Devo fare in fretta e uscire. Sono entrata perché devo cambiare la pila del frontalino; la vendono solo qui, solo in questo negozio e so che in rete la troverei allo stesso prezzo, facendo molta meno fatica, evitando di sottopormi a tutto questo, ma ho deciso di prenderla qui, perché il titolare del negozio degli articoli di montagna è un mio amico e ultimamente non se la passa molto bene; per gli amici si può affrontare anche l’inferno. Entro nel negozio e lui mi accoglie preoccupato: “Ma che hai?! Sei malata?!” Si, in questo momento sto davvero male, ma a lui non lo dico e lo rassicuro: “Mai stata meglio! Solo ti chiedo di fare in fretta che devo uscire da sta Babele al più presto!” Lui sa di me, mi conosce da anni, e capisce; si dà da fare e va in magazzino a prendere la pila; la proviamo sul frontalino, per scrupolo. Funziona. Io sorrido, pago, gli stringo la mano e gli faccio gli auguri. “Ci vediamo in montagna!” E scappo via come se quella pila l’avessi rubata e in pochi minuti sono finalmente fuori, libera, sotto la pioggia. E respiro; l’affanno mi passa, la nausea scende, l’ansia anche. Guardo le montagne lassù; sono immerse in radi banchi di nebbia e penso alla poca neve che si sta sciogliendo sotto la pioggia. Provo a pensare all’odore dei boschi, giusto per sopportare il tragitto fino a casa, attraversando in macchina la cittadina. Mi calmo solo quando arrivo fra i castagni. Prendo il cane e vado a camminare per un bel po’, mentre la pioggia ci accompagna con i profumi della terra e ci consola come una brava mamma.

Clicca sull’immagine se desideri acquistare il mio libro; ancora per oggi lo trovi a metà prezzo.
Auguro a tutti i lettori di Storieselvatiche un Sereno Nuovo Anno, con l’augurio che ad ognuno di voi porti esattamente ciò che desidera. Tante benedizioni affinché il bene riempia le vostre vite e lunga vita e prosperità a tutti. 🌟💎💎💎🌟

Lascia un commento