Lo so, la gente continua a scrivere libri, racconti, storie, post, articoli… e tutti parlano di cose, di persone, di esperienze… e io che ho sempre scritto per sopravvivere al nulla cosmico che spesso mi veniva a trovare, da un po’ di tempo non scrivo più. E no, quando parlo di “storia selvatica”, non intendo dire che sto vivendo una relazione con qualcuno; chi un po’ mi consce, sa che io non parlo quasi mai di me in tal senso, perché questi sono fatti personalissimi e non mi piace metterli in pubblica piazza. Qualcuno non capirà, perché viviamo nell’epoca dove la gente pubblica anche quello che mangia, come lo mangia e come lo cucina e, non ultimo, pubblica anche la fase finale della digestione, facendosi un selfie sulla tazza del cesso. A me ste cose non piacciono e lo dico, anche se so che questo non interessa a nessuno, perché i più troverebbero molto più interessante vedere una mia foto con la bocca a culo di gallina.
E’ che io non cambio mai espressione; figuriamoci se mi metto a fare i selfie con la bocca a culo di gallina; non mi viene… i muscoli facciali non collaborano. Penso che questa sia una grande fortuna, in effetti. Il voyerismo dilagante è una di quelle robe che trovo profondamente arroganti; viviamo un tempo di arroganza resa consuetudinaria fino al limite estremo della volgarità, in effetti. Non è un tempo che amo questo nel quale vivo, ma lo trovo comunque estremamente interessante, e lo studio con un certo divertimento. So che nessuno ama questo tempo, tranne i pochi illuminati, quelli che sono andati oltre e che io non ho mai visto e non ho mai conosciuto, ma di cui tutti parlano. Io, come tutti quelli che mi vibrano attorno, vivo con i miei simili e sto a persiane ancora socchiuse, ma fuori dalle mura.
Dicevo: il termine “selvatica”, riferito a una storia, indica una condizione precisa e questa non ha nulla a che vedere con questioni sentimentali. Il selvatico è il solitario che vive sulle montagne, nei boschi, nelle campagne, sul mare, nel mare… e questa che sto vivendo adesso è sì una storia selvatica, ma che sta assumendo connotati difficili da definire, perché in un certo senso riguarda me, ma nel contempo riguarda molte altre anime che sono selvatiche a loro volta. La definisco un’epidemia di conquista di condizioni selvatiche o, forse, è più appropriato dire che è un riappropriarsi di una legittima condizione libera. Per me il selvatico è sinonimo di libertà; questo articolo poteva ridursi a queste poche parole, in effetti. Ma sono sempre stata dedita alla circumnavigazione letteraria, quindi… sto al timone come d’abitudine.
Un fatto è certo: è estremamente confortante sapere che al mondo ci sono molte anime selvatiche come la mia, che non hanno nessuna intenzione di farsi prendere, che non si fanno ingabbiare. Piuttosto la morte, che è meno terribile della schiavitù per un’anima selvatica. Accade, a volte; come quei caprioli che vengono intrappolati dalle reti dei pastori e non si riescono più a liberare; poi interviene qualche umano in buona fede e taglia i fili, per aiutare l’animale a liberarsi…però quando è libero, il capriolo stramazza a terra dopo una breve corsa, perché la sensazione di ingabbiamento, di sentirsi le mani addosso, il terrore di rimanere intrappolato gli ha fatto scoppiare il cuore. Perché è così: il selvatico non resiste alle costrizioni… piuttosto si fa scoppiare il cuore. Per me questa consapevolezza significa molto, perché mi fa sentire meno sola nella mia propensione all’isolamento per molti versi forzato, perché è vero che ho scoperto che siamo in molti, ma questo non significa che io li so avvicinare tutti. Ho dei limiti evidenti in tal senso, del tutto personali. Diciamo che è comunque confortante essere a conoscenza del fatto che molte anime non amano il compromesso, che preferiscono semplicemente vivere fuori dalla gabbia e questo è tutto. Essere parte di un popolo è una sensazione nuova, molto confortante. Sì, bastava questo, in sintesi.
Sto vivendo questa storia selvatica da un po’ di anni, in realtà, ma solo in questo periodo ne sono diventata pienamente consapevole. Provo molta gratitudine per l’esempio che in questo viaggio mi hanno dato i boschi; penso che senza i boschi, io sarei rinchiusa in qualche gabbia, in qualche ufficio, o forse, in un’anonima cassa di zinco. E, ripeto, se non è libertà, meglio la cassa di zinco.


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